NECESSARY EVILS #7
Alienato
Alienato
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Alienato è il settimo libro della serie I Mali Necessari.
Please note: This listing is for the paperback edition.
MAIN TROPES
- Billionaire
- Age Gap
- Father/Adopted Son
- Shared Past
- Hurt/Comfort
- Enemies to Lovers
SYNOPSIS
SYNOPSIS
Thomas Mulvaney era solo un bambino quando un errore di giudizio gli è costato tutto. È stato allora che ha giurato a se stesso che avrebbe fatto qualsiasi cosa per espiare il proprio errore. E l’ha fatto. Non si è mai allontanato dalla retta via. Finché non è arrivato Aiden.
Aiden Mulvaney non esiste. È una bugia creata dal padre che lo ha ripudiato e da Thomas Mulvaney, l’unico uomo che lui abbia mai implorato di amarlo. Solo che quella richiesta c’è stata parecchi anni addietro, quando ancora credeva nelle favole. Prima che Thomas lo rifiutasse.
Thomas ha trascorso gli ultimi anni a cercare di mantenere Aiden nella propria vita pur tenendolo a distanza, ma l’altro a quanto pare ha chiuso con le mezze misure. Ha chiuso con Thomas il martire. Ha chiuso con tutto. E si è tenuto lontano. Il problema è che ora qualcuno minaccia di rivelare un segreto che riguarda tutti.
No, non quello. Un segreto talmente vergognoso che Thomas non vuole nemmeno raccontarlo ad alta voce. Riusciranno i due a rivisitare il passato e mantenere intatto il nome della famiglia, o saranno entrambi sepolti sotto il peso dei ricordi mentre i loro vecchi sentimenti riaffiorano?
LOOK INSIDE: CHAPTER ONE
LOOK INSIDE: CHAPTER ONE
Thomas era seduto nel proprio ufficio con una bottiglia di whisky mezza vuota accanto; l’unica luce era quella proveniente dallo schermo del suo computer portatile, con l’immagine congelata sul display. Un mare di volti sconosciuti. Cinque bare bianche. E Thomas – un Thomas molto più giovane – in piedi davanti a tutti. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva visto quella foto? Decenni.
Arroganza. Ecco cosa lo aveva condotto a quel preciso momento. Si strofinò le mani sul viso, cercando di raccogliere i pensieri che gli si aggiravano nel cervello intriso di alcol. Era solo questione di tempo prima che i suoi peccati venissero alla luce. In verità, era riuscito a tenerli nascosti più a lungo di quanto avesse messo in conto. Così tanto, in effetti, che aveva abbassato la guardia.
Prese un altro grande sorso del whisky contenuto nel suo bicchiere, e lasciò che gli bruciasse l’esofago mentre scendeva. Era il dannato Icaro, e finalmente era volato troppo vicino al sole. La sua risata stridula interruppe il silenzio nello studio. Cristo, stava perdendo la testa. Che poi, l’aveva mai avuta davvero? Le lacrime minacciavano di rigargli le guance, e lui si premette la base dei palmi sugli occhi fino a ritrovare la propria compostezza.
Capì che si stava piangendo addosso, che i suoi pensieri erano confusi, che la sua linea temporale non era più lineare. E all’improvviso, i ricordi che aveva sepolto dolorosamente in profondità eruttarono come lava dalle più oscure cavità del suo cervello, distruggendo con la loro colata tutte le bugie accuratamente confezionate nel tempo. Capelli decolorati. Occhi verdi. Quel sorriso perfido. Quei denti perfetti. Quella catenina che lui indossava e che sfiorava la pelle di Thomas ogni volta che gli si sdraiava addosso.
«Siamo uguali. Nessuno ti capisce come faccio io.»
Erano anni che non sentiva quella voce. Anni. Ma era ancora chiara e perfetta. Bassa. Roca. Il dolore nel suo cuore era affilatissimo, era un pugnale che veniva ruotato… finché Thomas non capì che la tensione nel petto doveva essere dovuta al sanguinamento. Sì, era fottutamente ubriaco. Ma che cazzo altro poteva fare?
Era finalmente successo. Aveva pensato che se avesse sofferto abbastanza, se fosse stato abbastanza infelice, se fosse stato abbastanza dispiaciuto, avrebbe potuto rimediare ai suoi errori senza mai dover ammettere quello che aveva fatto. Senza dover ammettere chi era dentro. Ma gli anni passati a uccidere i cattivi non potevano eliminare il mostro che aveva dentro. Anni di sofferenza non avevano mitigato il modo agonizzante in cui era morta la sua famiglia.
Forse era il karma? Anche se era riluttante ad ammetterlo, negli ultimi tempi erano più i giorni in cui era contento di quelli in cui non lo era. I suoi figli erano sani, felici e se la cavavano alla grande. Aveva due nipoti stupende che lo guardavano come se fosse il loro eroe. Forse si era messo troppo comodo? Aveva abbassato la guardia e l’universo aveva agito rapidamente per correggere il proprio errore.
Aveva pensato che se si fosse negato l’unica cosa che voleva più di ogni altra, forse l’universo gli avrebbe concesso tutto il resto. Lui sapeva compartimentalizzare. Poteva concentrarsi su Adelyn e Arabella, sul lavoro, sulla sua famiglia… a patto che non avesse l’unica cosa – l’unica persona – che voleva sopra ogni altra.
Aiden.
Thomas afferrò il bicchiere mezzo pieno e lo lanciò contro il camino, e le fiamme scoppiettarono a contatto con l’alcol.
Cazzo.
Si strofinò di nuovo il viso, poi prese a fare avanti e indietro per l’ufficio. Doveva andare a dormire. Avrebbe potuto pensare con più lucidità al mattino, una volta sobrio. Ma non l’avrebbe fatto. Non poteva. I suoi pensieri erano troppo potenti. Se si fosse sdraiato, li avrebbe nutriti fino al punto di farli diventare demoni senzienti al centro del suo petto; lo avrebbero privato del sonno, ricordandogli che era stato lui stesso a creare quella situazione.
Ancora una volta, immaginò gli occhi verdi più pallidi che avesse mai visto, e loro due seduti sul pavimento della sala da ballo che guardavano i pannelli di stagno martellati sul soffitto.
«Li odio.»
«Non lo pensi davvero.»
«Sì, invece. Li odio. Tutti.»
Riportò lo sguardo al computer, il cui schermo al momento era rivolto dalla parte opposta a quella in cui si trovava lui. Forse avrebbe dovuto semplicemente pagare.
Respinse anche solo il pensiero nel momento stesso in cui gli si affacciò nella mente. I ricattatori non andavano mai via. Inoltre, quel video era la testimonianza che c’era qualcuno intenzionato a distruggerlo, qualcuno che ci teneva a farglielo sapere. Lo voleva vedere umiliato, sconfitto, messo in ginocchio. Solo allora avrebbe premuto il grilletto e gli avrebbe tolto tutto. Voleva vederlo soffrire. Solo che lui non sapeva perché.
Forse era giunto il momento. Forse era destino che andasse in quel modo. Ma Thomas non era preoccupato per sé stesso. Era preoccupato per gli altri. La sua famiglia. I suoi figli. Le nipoti. Aveva costruito un grattacielo sulle sabbie mobili, un grattacelo che stava per crollare e inghiottirli tutti.
Ruggì, ma il suono non servì affatto a placare il tumulto che gli vorticava dentro. Non era per i soldi. Non gliene fregava un cazzo dei soldi. L’ammontare richiesto non avrebbe nemmeno intaccato la fortuna dei Mulvaney. Ma non era quello il punto. Era una cosa personale. Quel video era personale. Ma non aveva senso. Erano tutti morti. Tutti quelli che sapevano la verità erano morti… o no?
Thomas crollò di nuovo sulla sedia. Di solito aveva tutte le risposte. Sapeva quasi sempre esattamente cosa fare, ma quella volta si sentiva perso. Di solito chiedeva favori, coinvolgeva i ragazzi, solo che in quel caso non poteva farlo. Non poteva dire ai suoi figli cosa aveva fatto. Aveva trascorso anni a fargli credere che ci fosse una sola disgrazia imperdonabile. Una cosa che non avrebbe mai potuto perdonare. Come poteva dire loro che era lui quello imperdonabile?
Prese il cellulare e premette il pulsante di avvio della chiamata prima ancora che potesse rendersi conto di ciò che stava facendo.
«Che cazzo, sono le tre del mattino, Thomas,» gracchiò la voce all’altro capo.
Thomas. Ormai lo chiamava solo in quel modo.
Lui capiva la sua agitazione. Davvero. Quella non era la sua prima telefonata da ubriaco all’uomo che aveva cercato di chiamare “suo figlio”. Diavolo, non poteva contare nemmeno con le dita di due mani il numero di occasioni in cui aveva chiamato Aiden quando aveva bevuto troppo. Aveva reso la sua sofferenza un problema di Aiden fin troppe volte, ma non sapeva cosa fare. Era spaventato. Thomas era spaventato a morte, e quando il mondo diventava troppo, c’era solo una persona in grado di placare le sue paure.
«Aiden.» Pronunciò quel nome come una supplica, come una preghiera.
«Che succede?» abbaiò l’altro, molto più vigile rispetto a pochi istanti prima. «Qualcuno è ferito?»
Io. Io sono ferito. Sto sanguinando.
Voleva dirgli tutto, invece gli uscì solo: «Ho bisogno di te.»
Il silenzio si protrasse per diversi secondi prima che Aiden finalmente rispondesse: «Non posso più fare tutto questo con te, cazzo. Non puoi continuare a trattarmi così. Non te lo permetto.»
Era giusto. Più che giusto. Thomas lo aveva trascinato nella sua merda ancora e ancora. Era giusto che Aiden fosse stufo. Ma lui non aveva nessun altro.
«Ho bisogno di te— del tuo aiuto,» si corresse. «Ho bisogno del tuo aiuto. Per favore. È importante.»
«Tom—»
«Per favore… ti prego, Aiden.» Thomas se ne sarebbe sentito umiliato quando fosse tornato sobrio, ma non riusciva a smettere. «Ti sto implorando. Ti prego, aiutami. Ti prego.»
* * *
A Thomas sarebbe piaciuto poter dire di aver usato il tempo successivo a quella telefonata nel modo più utile, ovvero tornando sobrio così da accogliere Aiden con la mente lucida, quando fosse arrivato, ma sarebbe stata una bugia. Invece finì la bottiglia di whisky e si addormentò sulla sedia, svegliandosi solo quando l’altro lo schiaffeggiò abbastanza forte da procurargli un dolore che penetrò la nebbia della sua incoscienza.
Aprì gli occhi assonnati e trovò Aiden in ginocchio davanti a lui, e il suo cazzo si accorse della loro posizione prima che il suo cervello imbevuto di alcol potesse riprendersi. Thomas allungò la mano e gli toccò il viso coperto da uno strato di barba ispida, ma la riabbassò subito dopo, quando si ricordò che Aiden non era suo, che quindi non poteva toccarlo liberamente. Non più. Anzi, non lo era mai stato.
Anche Aiden sembrava averlo dimenticato, però, perché sollevò i palmi e gli cullò il viso. «Che cosa hai fatto a te stesso?» gli chiese, con quello stridore basso e roco nella voce che riusciva sempre a smuovere delle cose dentro di lui.
Thomas fece del proprio meglio per concentrarsi sulla domanda e non sul modo in cui i pollici di Aiden gli sfioravano delicatamente le guance, come se lui fosse qualcosa a cui l’altro teneva. Come se fosse qualcuno che Aiden amava ancora. «Ho fatto una cazzata,» ammise d’impulso.
L’altro lo studiò come se stesse cercando di capire che diavolo stava succedendo. Anzi, probabilmente era proprio ciò che stava facendo. Di certo, quello che Thomas diceva non aveva un dannato senso.
«Di cosa stai parlando?» gli chiese Aiden, il tono quasi speranzoso dopo quella sua confessione.
Thomas scrutò il suo bel viso prima di pronunciare le parole successive. «Ho-ho fatto qualcosa di brutto. Di davvero brutto. Molto tempo fa. Ho… mentito. E qualcuno lo sa. E ha intenzione di smascherarmi.»
Ebbe modo di vedere con i propri occhi la finestra sull’espressione speranzosa di Aiden che si chiudeva lasciandosi dietro la sua solita ostilità. Un’ostilità piuttosto meritata. Thomas sapeva di essere un bastardo, visto quello che gli aveva fatto… di nuovo, perché continuava ad appoggiarsi costantemente a lui senza dargli nulla in cambio. Ma non aveva nessun altro.
Aiden sospirò, dopodiché si alzò e lo tirò in piedi per il braccio, spingendolo verso la porta dell’ufficio. Lui si fece condurre su per le scale e lungo l’ala est, fino alla sua camera da letto. Non protestò nemmeno quando lo spinse in bagno e aprì la doccia. Si sarebbe anche fatto spogliare, se l’altro ci avesse provato. Gli avrebbe permesso di fargli quasi tutto… ma era proprio per quel “quasi” che tra loro esistevano tanti chilometri di distanza.
Aiden non provò a spogliarlo, comunque. Gli sbatté solo un asciugamano contro il petto. «Ripigliati. Mi trovi di sotto quando hai finito.»
Thomas non ribatté, aspettò solo che la porta si chiudesse prima di spogliarsi e infilarsi sotto il getto pressoché gelido, lasciando che il freddo penetrasse nella foschia dell’alcol mentre la pelle d’oca gli increspava l’intero corpo. Appoggiò gli avambracci contro il muro e restò lì a percepire lo spruzzo dei getti multipli che gli battevano addosso come piccoli pugnali; l’acqua scacciò via tutti i pensieri finché la sua mente non fu beatamente tranquilla. Fu solo quando iniziò a tremare che si lavò e sciacquò in tutta fretta.
Fuori dalla doccia, scorse un mucchio di vestiti piegati sul mobile. Pantaloni della tuta grigi e una felpa nera di Chanel. Non ricordava di aver mai indossato una felpa. Quella l’aveva trovata in una borsa-regalo che aveva ricevuto dopo una premiere cinematografica. Aveva provato a rifilarla a Adam, ma il figlio l’aveva rifiutata dicendo di averne già una simile.
Thomas non aveva idea del perché se ne fosse ricordato in quel momento, ma lasciò che il pensiero andasse e venisse mentre si asciugava e si vestiva rapidamente, pettinandosi poi i capelli con le dita prima di tornare al piano di sotto.
Trovò Aiden seduto nella sua poltrona da ufficio, con la luce dello schermo del portatile che gli illuminava le rughe sul viso mentre lui, la fronte aggrottata, osservava il video in riproduzione. Thomas non voleva avvicinarsi, non voleva dovergli spiegare cosa stava guardando, cosa stava succedendo. Ma avrebbe dovuto farlo. Non poteva chiedergli aiuto senza spiegargli cos’era successo alla sua famiglia. Almeno in parte. Ma quanto doveva raccontargli? Quanto poteva rivelare in modo da restare comunque in grado di poter ancora vivere con sé stesso?
«Che cos’è?» gli chiese Aiden mentre lui andava a posizionarglisi accanto.
«Qualcuno mi sta ricattando, minaccia di rivelare i segreti della nostra famiglia. Questo è il suo modo di farmelo sapere,» ammise Thomas.
Aiden gli passò una tazza thermos. «Quale segreto di famiglia? Quello in cui uccidiamo le persone? La cospirazione globale in cui insegniamo al governo a fare lo stesso?»
Thomas bevve un sorso di caffè, e il sapore amaro gli morse il retro della lingua prima di scendere giù e bruciargli l’esofago. «No, quei segreti sono ben protetti. È qualcos’altro. Qualcosa che è successo molto tempo fa.»
«Che cos’è? Cos’ha su di te?» insistette Aiden. «Cosa c’entra con questi cadaveri? Quelle bare sono quelle della tua famiglia, giusto?»
Aiden sapeva della sua famiglia? Certo che sì. Era un investigatore privato. Tutti i ragazzi probabilmente avevano fatto una ricerca approfondita digitando il nome Mulvaney almeno una volta nella vita, curiosi di conoscere il loro retaggio familiare. Ma Thomas non si era mai preoccupato della possibilità che si imbattessero nella verità.
Dopo quella tragedia, erano state diverse le persone che avevano lavorato in tandem per fare in modo che ciò che era realmente accaduto quella notte non potesse mai vedere la luce del giorno. Certo, quelle persone non avevano mai sospettato che fosse Thomas il vero cattivo della situazione. E d’altronde, era proprio quello il punto.
«Sì. I miei genitori. I miei fratelli. Mio… cugino, Shane,» confermò Thomas, anche se l’ultima parte gli si era bloccata un po’ in gola.
La risata stridula che risuonò nella stanza perforò il suo cranio già pulsante quando Aiden fece ripartire la riproduzione; fece una smorfia. Chiunque aveva creato quel video conosceva la verità e aveva un vero talento per la teatralità. Sovrapposte sulle immagini esplicite dei cadaveri della sua famiglia continuavano a sfilare parole come colpevole, peccatore, bugiardo e poi le richieste mosse nei suoi confronti. Era tutto molto eccessivo. Se Thomas non avesse saputo che le immagini di quel video erano state presumibilmente distrutte anni addietro, avrebbe potuto considerare tutto ciò che riguardava quella minaccia una truffa.
Solo che erano lì, in bella mostra.
In tutti quegli anni, Thomas non aveva mai visto le foto della scena del crimine. Le immagini dei corpi gonfi dei suoi fratelli. Quelle di Shane. O ciò che ne era rimasto, quantomeno. Suo fratello e sua sorella avevano solo sette anni all’epoca. Erano troppo giovani per gli orrori che avevano sopportato quella notte. Suo zio gli aveva assicurato che era stato meglio così.
Dopotutto, all’epoca lui ne aveva quindici, anche se frequentava corsi di livello universitario. Anche se all’improvviso gli era stata gettata in grembo un’enorme fortuna. Anche se di colpo ci si aspettava che si mettesse a capo di un impero globale. Era solo un ragazzino.
«Perché ti stanno facendo questo?» gli chiese Aiden.
Thomas scosse la testa. «Proprio non lo so.» L’altro gli rivolse un’occhiata minacciosa. Lui sospirò. «Vogliono fare del male alla famiglia. Vogliono fare del male a me.»
«Sì, ma perché?» insistette Aiden. «Chi ti sta facendo questo?»
Il senso di pienezza nel petto di Thomas si espanse fino a fargli male mentre lui cercava – senza trovarle – le parole giuste, la frase giusta, qualcosa che potesse spiegare tutto senza che lui dovesse dire la verità. Alla fine, sbottò: «Se avessi saputo chi sta facendo tutto questo, pensi che ti avrei chiamato?»
Aiden sussultò, poi emise un verso nasale, l’espressione intrisa di disgusto anche se non era chiaro se fosse rivolta a Thomas o a sé stesso. «No. Immagino di no.»
Qualcosa si appassì dentro Thomas. «Aiden, mi—»
L’altro però girò la sedia verso il computer, con le mani che volavano sopra la tastiera mentre apriva il programma di posta elettronica di Thomas. «Mi sto inviando una copia criptata del video. Hai ricevuto qualcos’altro?»
Lui irrigidì e rilassò la mascella. Non riusciva a smettere di dire e fare la cosa sbagliata quando si trattava di Aiden. Era sempre stato solo Aiden. Era stata la sua rovina fin dal momento in cui gli aveva posato gli occhi addosso, e una piccola parte di lui voleva vomitare la verità su chi fosse e cosa avesse fatto in modo che l’altro lo tagliasse finalmente fuori dalla propria vita una volta per tutte. Era quello che si sarebbe meritato.
Ma farlo non avrebbe messo in pericolo solo lui. «C’è un link a un conto bancario offshore incorporato nel file. Presumo che serva per trasferirvi i soldi che vuole.»
Aiden girò la sedia per guardarlo in faccia, e quando le loro ginocchia si sfiorarono Thomas rabbrividì. Quanto tempo era passato da quando si erano toccati? Non lo avevano più fatto da quell’ultima notte. Proprio lì nello studio. Proprio dove Aiden era seduto in quell’istante. Solo che in quell’occasione sulla poltrona c’era stato Thomas, e Aiden gli era strisciato in grembo. «Perché non riesco a stare lontano da te?»
Ma subito dopo ci era rimasto eccome, lontano. Molto lontano. Dall’altra parte del Paese, tornando a casa solo per qualche lavoro occasionale, sempre attento a evitare Thomas. Erano passati davvero quasi quattro anni da quella notte?
Thomas si costrinse a riportare l’attenzione su Aiden mentre quello gli chiedeva: «Che cos’ha su di te? Perché stai perdendo tempo con questa stronzata? Chiama Kendrick. Chiama uno dei cinquanta senatori che hai nelle chiamate con selezione rapida.»
«Non posso,» rispose.
«Perché? Chiedi favori in continuazione. “Per il bene del programma”,» aggiunse, facendo le virgolette con le mani.
«Non è così semplice, questa volta. Queste persone… questa persona non sta facendo minacce a vuoto. Sa qualcosa. Non avrebbe quelle foto altrimenti. Se sa tutto, rovinerà la nostra intera famiglia. Rovinerà tutto quello per cui ho lavorato. Distruggerà i tuoi fratelli – gli altri,» si corresse. «Tutta la loro vita.»
«Cosa? Come?» chiese Aiden, palesemente sconcertato.
«Quello che facciamo… chi siamo… è tutto un castello di carte. Questa famiglia. Il progetto Watchtower… tutto esiste perché basato sulla distruzione reciproca assicurata. Se viene fuori la verità sulla mia famiglia, il resto dei nostri segreti cadono come i tasselli in una partita a domino. Non possiamo permettere che accada.»
Per la prima volta, Thomas si rese conto che era proprio quello il motivo per il quale aveva chiamato Aiden. Era quello ciò di cui aveva più bisogno da lui. Non conforto. Non una svegliata. Gli serviva un piano. Gli serviva qualcuno come Aiden. Qualcuno a cui non mancava la capacità di provare emozioni, ma che anzi le usava per promuovere la sofferenza di coloro che lo meritavano. Aiden avrebbe scoperto chi c’era dietro. Aiden avrebbe distrutto quella persona. E nel momento in cui avesse scoperto chi era veramente Thomas e cosa aveva fatto, avrebbe annientato anche lui.
Ma essere distrutto per mano di quell’uomo gli sembrava giusto. Era giusto. E Aiden lo avrebbe ferito, lo avrebbe fatto soffrire. Ma lo avrebbe fatto in silenzio. Avrebbe risparmiato alla famiglia il fardello di portare il peso dei suoi peccati. Ma non ancora. Thomas non era ancora pronto. Doveva prima capire cosa stava succedendo. Si sarebbe confessato con Aiden quando fosse stato necessario. Ma solo allora.
«Cosa nascondi?» insistette l’altro. «Cos’hai fatto?»
Quella volta fu Thomas a mettersi in ginocchio, attraversato da una scossa elettrica quando prese le mani ruvide di Aiden nelle proprie, molto più morbide. Si costrinse a guardarlo negli occhi. «Non chiedermi di dirtelo. Non ancora. Per favore. Se mi hai mai amato, cazzo, lascia che tenga i miei peccati per me stesso ancora un po’. Per favore, Aiden.»
L’altro spinse la mascella in avanti, irrigidendola tanto che il muscolo si contrasse visibilmente, e studiò il viso di Thomas con una tale rabbia, una tale frustrazione… e lui le meritava, appieno.
«Per favore,» ripeté.
«A volte ti odio,» replicò Aiden, la voce roca. «Così tanto che mi sento come se stessi soffocando.»
Thomas annuì, cercando di fare finta che quelle parole non lo avessero appena squarciato come un proiettile. «Lo so. Me lo merito… ma te lo chiedo comunque. Non farli soffrire per i miei peccati. Prometto che te lo dirò prima che tutto questo finisca. E quando conoscerai la verità, accetterò le conseguenze. Lasciami solo mantenere i miei segreti. Non posso sopportare che tu mi odi più di quanto già non fai. Non con questa spada di Damocle che ci pende sulla testa.»
A quel punto Aiden allontanò con impeto le mani dalle sue e si alzò, poi afferrò il portatile. «Prepara una valigia. Ce ne andiamo da qui.»
«Cosa? Perché?» chiese Thomas, alzandosi in piedi ancora una volta.
«Perché chiunque ti stia facendo tutto questo è chiaramente instabile. Vuoi tenere la famiglia fuori da tutto questo? Okay, tienili fuori. Del tutto fuori. Se mi vedono qui faranno domande, e quando sentiranno l’odore del sangue nell’acqua non lasceranno perdere. Se vuoi mantenere i tuoi segreti, allora verrai con me. È questo l’accordo. Prendere o lasciare.»
A Thomas girava la testa. Trovarsi da solo con Aiden sarebbe stata una vera tortura. Già quei due minimi contatti che avevano condiviso lo avevano fatto a pezzi. Tendeva a mantenere la distanza da lui perché quando erano nella stessa stanza erano magneti, attirati insieme da qualcosa di impossibile da combattere. Solo che in quel momento Aiden lo odiava. Thomas era molte cose, ma difficilmente avrebbe costretto qualcuno a stare con lui se non lo voleva.
Che cazzo stava dicendo? Perché pensava di toccare Aiden quando c’era qualcuno che minacciava tutto ciò che amava? Conosceva la risposta. E sospettava che anche Aiden ne fosse consapevole. E la risposta era che amava Aiden di più. Lo amava più di tutti gli altri ragazzi. E non si sentiva nemmeno in colpa. Non poteva. Perché non lo aveva mai amato come un figlio. Non lo era mai stato, un figlio, ed era a stento un ragazzino quando si erano conosciuti. Il sentimento che nutriva per lui non era affatto simile a ciò che provava per i suoi figli.
Perché non era semplice affetto. Era innamorato di Aiden. Lo era da più tempo di quanto avrebbe mai ammesso ad anima viva, persino a sé stesso.
«Thomas,» lo chiamò bruscamente Aiden, tirandolo fuori dai suoi pensieri degenerativi. Perché essere chiamato per nome in quel momento gli sembrò una punizione?
«Sì. Sì, va bene. Facciamo a modo tuo.»
Per ora.
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