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NECESSARY EVILS #3.5

Danneggiato

Danneggiato

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Danneggiato è una novella ambientata nell'universo di Necessary Evils.

Please note: This listing is for the paperback edition.

MAIN TROPES

  • Childhood Friends
  • Co-Workers
  • Touch Him and Die
  • Psychopath
  • Hurt/Comfort
  • Abuse Survivor

SYNOPSIS

La prima volta che Dimitri Castallanos ha sperimentato l’ossessione ha commesso un crimine. Aveva cinque anni. È uno psicopatico. E ancora oggi è ossessionato da quell’unica persona.

Arlo Miller è nato vittima, cresciuto in qualità di sacco da boxe per il padre e nel ruolo di capro espiatorio per la madre. Dimitri era la sua unica forma di protezione, e gli è stato portato via.

Da bambini si aggrappavano l’uno all’altro. Da adulti fingono che nessuno dei due se lo ricordi, quando invece celano entrambi una cotta segreta per l’altro. Dimitri nasconde i propri sentimenti dietro a una maschera di indifferenza. Arlo lo fa innamorandosi di uomini molto cattivi.

Quando uno di questi individui affronta Dimitri, è Arlo a commette un crimine. Un omicidio. Tuttavia, Dimitri non permetterà alla persona che ama di assumersene la colpa. Così, con l’aiuto della madre di Dimitri e di sette psicopatici, i due hanno ventiquattro ore per mettere in scena un alibi, nascondere un corpo e confessare i veri sentimenti che provano l’uno per l’altro una volta per tutte.

Qual è la cosa più difficile? Innamorarsi o farla franca con l’omicidio?

LOOK INSIDE: CHAPTER ONE

Fissare era da maleducati. Sua madre glielo aveva inculcato in testa fin da quando era piccolo. Non fissare. Non ossessionarti. Non lasciare che la gente veda chi – no, non chi, ma cosa – sei veramente. Alla gente normale non piaceva, non trovava le sue tendenze da stalker romantiche o lusinghiere.

Il fatto era che Dimitri non era mai stato ossessionato da nessuno tranne che da Arlo; non aveva visto nessuno tranne lui, ed era così fin dal momento in cui il ragazzino aveva trascinato il proprio materassino vicino al suo nella classe di Mrs. Faison, all’asilo. Gli aveva confessato di avere paura del buio. Dimitri allora gli aveva assicurato che lui non aveva paura di niente, e quello aveva rassicurato Arlo abbastanza da cedere al sonno.

Arlo non ricordava quell’episodio, non ricordava neppure Dimitri. Dopo che lui aveva dato fuoco al letto dei suoi genitori, sua madre aveva deciso di cambiare casa, di allontanarlo da occhi indiscreti e anche da Arlo. Ma Dimitri aveva trovato la via del ritorno. Non appena aveva preso la patente, aveva scoperto dove viveva l’altro, cosa faceva, e aveva trovato un modo per far sì che le loro strade si incrociassero di nuovo.

Non che Arlo sapesse niente di tutto ciò. Per lui, loro due avevano fatto amicizia per via delle circostanze. Avevano entrambi bisogno di soldi, perciò lavoravano da Hallowed Grounds, la caffetteria del campus, che era proprio dove si trovava al momento Dimitri: seduto a un tavolo, durante la sua pausa di trenta minuti, con un gruppo di persone che chiamava amici. Beh, erano loro a chiamare lui amico. A essere sincero, a lui non sarebbe importato se si fosse aperta una voragine e li avesse inghiottiti proprio nel bel mezzo di quel pavimento.

«Tu ci vai, vero, Dimi?»

Delle dita perfettamente curate schioccarono a un centimetro dal suo viso. Così lui allontanò gli occhi dal ragazzo dietro il bancone per fissare con sguardo vuoto la tizia bionda che aveva davanti. «Eh?»

Mandy alzò gli occhi al cielo. «Non mi ascolti mai.»

«Per essere onesti, tu non smetti mai di parlare,» intervenne Jason. «È difficile stare al passo.»

Mandy replicò mostrandogli il dito medio e uno sguardo irritato, ma quello servì solo a rendere l’altro più audace. A lei piaceva l’attenzione, però. Le piaceva qualsiasi tipo di attenzione. Ma Jason aveva ragione, non la smetteva mai di parlare. Perdipiù, non chiacchierava mai di qualcosa che riuscisse a interessarlo. Blaterava di feste della confraternita, di partite di football e, beh, di Dimi. Aveva cercato di mettersi con lui fin dall’inizio dell’ultimo anno del college, e a quanto pareva nemmeno il suo orientamento sessuale aveva mai fermato i suoi continui tentativi di spingerlo con l’inganno ad andare a un appuntamento.

Ma Dimitri aveva occhi solo per Arlo. Il dolce, delicato, pericolosamente grazioso Arlo. Come se avesse potuto sentire i suoi pensieri, il ragazzo alzò lo sguardo da dietro il bancone e gli rivolse un sorriso timido. Un sorriso che tuttavia non arrivava agli occhi. Arlo non gli aveva più mostrato un sorriso genuino dopo che quel pezzo di merda di Holden era apparso nella sua vita.

«Non posso. Devo lavorare,» rispose Dimitri. «Stasera chiudo. Ricordi?»

Lei mise il broncio, il labbro inferiore che sporgeva in fuori in un modo che non era affatto carino come pensava. «Non puoi chiedere a qualcuno di scambiarvi i turni? Tipo a quel ragazzo con il viso pieno di acne.»

Il ragazzo in questione era Remi, e avrebbe riso se avesse sentito la descrizione di Mandy del suo aspetto. La pelle di Remi non era priva di imperfezioni, ma quello non impediva alle ragazze di lanciarglisi addosso. Era intelligente, divertente, e la sua famiglia era schifosamente ricca. Nonostante quello, comunque, era un bravo ragazzo.

E no, comunque, lui non poteva chiedere a Remi di coprirlo perché era proprio Remi la persona che avrebbe fatto chiusura con Arlo, quella sera. In realtà, Dimitri avrebbe finito il proprio turno di lì a venti minuti. Ma non era disposto a dirlo a Mandy. Lei era come un cane con l’osso. Non avrebbe lasciato perdere fino a quando non lo avrebbe trascinato alla festa oppure lui avrebbe perso la testa e le avrebbe detto di togliersi dai piedi. Nessuna delle due opzioni era particolarmente attraente, per lui.

«Glielo chiederò,» mentì Dimitri.

«Evvai,» rispose Mandy, che prese a saltellare e battere le mani come se stesse per scoppiare di gioia. Jason alzò gli occhi al cielo prima di riportare lo sguardo sul portatile. Aveva finto di studiare già nel momento in cui si erano seduti, ma usava quello stratagemma per tenere d’occhio Mandy. A Jason, quella ragazza piaceva molto.

Dimitri esagerò i movimenti mentre prendeva il cellulare e digitava un messaggio a Remi, solo che non era quello che Mandy si aspettava. Posso lavorare al posto tuo, stasera?

La risposta arrivò all’istante. Merda, bello mio. Puoi lavorare al posto mio praticamente sempre.

Lui fece del proprio meglio per nascondere il sorrisetto. Mi serve solo questo turno. Grazie. Oh, e se qualcuno te lo chiede, avrei dovuto farlo fin dall’inizio. Okay?

A quello, arrivò l’emoji che alza gli occhi al cielo. Qualcuno? Qualcuno sarebbe Barbie stalker?

Dimitri rispose solo con un pollice in su. Sistemate le cose, rimise il telefono nella tasca del grembiule e scrollò le spalle. «Ha detto che non può. È il compleanno di sua madre.»

Mandy aggrottò la fronte. «Pensavo che sua madre fosse morta.»

Ah, sì? Che cazzo ne sapeva lui? «Forse intendeva a livello esistenziale. Siamo tutti un po’ morti dentro, giusto? Facciamo un’altra volta.»

Jason mostrò un sorrisetto sghembo da dietro Mandy, sapendo bene che Dimitri stava facendo i salti mortali per cercare di togliersela di dosso.

«Dici sempre così,» si lamentò lei, imbronciata.

Eppure continui a chiedermelo. «Devo tornare al lavoro.» Mandy si accigliò, guardandosi intorno nel negozio deserto, ma lui non diede alcuna spiegazione, mostrò solo una parvenza di sorriso che svanì non appena si fu allontanato. Sentì la porta aprirsi e chiudersi, segnale che gli altri erano andati via, ma non si voltò a guardare.

Entrò nella zona posteriore del locale usando la porta laterale in corridoio. Arlo stava pulendo la valvola del vapore con un panno bianco, e il movimento del suo braccio, che faceva su e giù, era involontariamente allusivo. Dimitri avrebbe dato quasi tutto per sentire la mano di Arlo avvolgergli l’uccello in quel modo.

L’altro lasciò cadere il panno prima di rivolgergli un sorriso sbilenco. «Hai appena mentito per evitare di andare a una festa?»

Ricambiò il sorriso. «Non ho mentito. Ho chiesto a Remi di fare questo turno al posto suo.»

Arlo assottigliò lo sguardo. «Quando?»

Lui ghignò. «Proprio adesso.»

Il sorriso di Arlo fu come un pugno allo stomaco: gli tolse il fiato. Mandy aveva descritto Arlo come un bel twink, ma non era solo bello, era perfetto. Aveva la pelle dorata e i capelli biondissimi che portava lontani dal viso come un attore in un film d’epoca. Remi diceva che assomigliava a James Dean. Dimitri poteva vedere le similarità tra i due, ma Arlo era più dolce, più delicato e innocente. Aveva un viso perfettamente simmetrico, con zigomi alti che sembravano scolpiti dagli dèi.

E poi c’erano le sue labbra. Carnose e sempre rosso ciliegia, come se non facesse altro che mordersele in continuazione. Dimitri pensava spesso a quelle labbra quando era solo, di notte. Di solito erano lucide per via del burrocacao o della lingua di Arlo che sfiorava quello inferiore più volte al giorno. Al momento, però, quelle labbra erano tumefatte, e quello inferiore era spaccato e rosso per il sangue secco. Un livido viola gli deturpava il lato sinistro della bocca.

Arlo aveva sempre lividi. E inventava scuse. Aveva sbattuto contro il muro, era caduto dalle scale, aveva urtato un’anta aperta dell’armadio. Sono solo goffo. Ho sempre la testa tra le nuvole. Era una bugia. Era sempre una bugia. Entrambi lo sapevano. Ma Arlo aveva sempre qualcosa negli occhi con cui pareva pregarlo di starsene zitto, di non parlarne, di non dire niente ad alta voce in modo da non renderlo reale.

Così lui restava in silenzio. L’ultima volta che aveva interceduto per conto di Arlo, aveva perso l’opportunità di poter vivere con lui sedici anni. Forse era egoista, ma non voleva rischiare di perderlo di nuovo. Però l’aveva pianificato. Sognava. Fantasticava il giorno in cui avrebbe ottenuto vendetta per ciò che Arlo stava subendo.

E quanto soffriva. Occhi neri. Contusioni a forma di dita sulle braccia e sul collo. Una frattura a spirale che lui sosteneva di essersi fatto scivolando sul ghiaccio. Dimitri sapeva che quel tipo di fratture accadevano solo per una ragione: qualcuno gli aveva torto il braccio dietro la schiena abbastanza forte da romperglielo.

No, non qualcuno. Holden. Quel giocatore di football della scuola rivale non dichiarato, coglione e pezzo di merda nonché ragazzo di Arlo. Holden aveva soldi e connessioni, e chiaramente non aveva mai sentito la parola no. Arlo, come molti ragazzini maltrattati, era passato da genitori abusivi a fidanzati violenti senza molto clamore. A Dimitri si sarebbe spezzato il cuore… se ne avesse avuto uno.

Eppure, quel livido sul viso era nuovo. Non c’era stato la sera precedente, quando avevano fatto chiusura insieme. Dimitri si avvicinò fino a quando non gli fu direttamente dietro, tanto che quando Arlo si girò e se lo vide alle spalle, che lo intrappolava contro il bancone, rimase senza fiato.

Lui però gli afferrò il mento tra il pollice e l’indice e lo osservò con attenzione mentre l’altro spalancava gli occhi castani come miele e un piccolo respiro lasciava le sue labbra. Dimitri avrebbe voluto ingoiare quel suono, percepire il suo battito pulsare sotto le dita, sentire Arlo sussurrare il suo nome. Invece trascinò il pollice sul taglio, e quando l’altro fece una smorfia di dolore sentì il proprio temperamento infiammarsi.

«Cos’è successo?» mormorò Dimitri. «È stato lui?»

Prima che Arlo potesse rispondere o inventarsi qualche scusa patetica, sentirono suonare la campanella sopra la porta della caffetteria. Arlo sguisciò immediatamente sotto il suo braccio. «Benvenuto da Hallowed Grounds…» Si zittì.

A quel punto lui si voltò e scorse Holden lì in piedi, con l’espressione ribelle e gli occhi che saltellavano tra loro. «Devo parlarti. Subito.»

Holden era circa cinque centimetri più basso del suo metro e novanta, ma era un armadio ambulante, tutto muscoli gonfi e testosterone. L’idea di qualcuno tanto grosso che sballottava Arlo fece sì che un fiotto di adrenalina inondasse le vene di Dimitri. La sua parte cavernicola prese il sopravvento sulla sua mente tanto che immaginò di sbattere il viso di Holden contro il bancone fino a rompergli i denti e far zampillare il suo sangue dalla faccia collassata. Nessuno toccava ciò che era suo.

Ma Arlo non era suo. Non proprio. Non nei modi che contavano. Dimitri non voleva essere un’altra cosa che era capitata ad Arlo, un’altra forza distruttiva che avrebbe strappato via i pezzi rimasti.

Arlo tremò visibilmente. «Sto lavorando.»

«Ci vorrà solo un minuto,» disse Holden tra i denti.

L’altro scosse un po’ la testa. «Ti ho detto tutto quello che dovevo dire ieri sera.»

Holden dilatò le narici e fece un passo in avanti, portando l’altro a compierne istintivamente uno indietro. «Non fare così.»

A quel punto Arlo spinse in avanti la mascella e incrociò le braccia sul petto. «Così come? Come qualcuno che ha dei confini? Qualcuno che non ti lascerà continuare a usarlo come fosse un sacco da boxe perché non riesci a sopportare il fatto di essere gay?»

Holden ringhiò e si lanciò verso Arlo, il quale indietreggiò anche se c’era quasi un metro di bancone in mogano tra loro. «Chiudi quella fottuta bocca, fottuta puttan—»

«Ti incoraggio vivamente a non finire quella frase,» intervenne Dimitri, permettendo a tutta l’umanità di svanire dalla propria voce.

L’altro allora distolse lo sguardo da Arlo per lanciargli un’occhiataccia, come se fosse la prima volta che si accorgeva della sua presenza. «È lui? È Dimitri, vero?» Arlo l’aveva menzionato? «È questo il motivo per cui sei stato fottutamente irrazionale negli ultimi giorni? È perché ti scopi il tuo collega?» sbottò Holden.

Lui provò a elaborare quelle parole. Holden pensava che Arlo se lo scopava? Perché? Come? Se mai lui fosse riuscito a fare suo Arlo, Holden non avrebbe avuto alcuna possibilità. Dimitri gli avrebbe già strappato le corde vocali per poi piantargliele davanti alla faccia.

«Irrazionale? Perché sono irrazionale? Perché ti ho detto che tra noi è finita?» chiese Arlo, alzando un po’ la voce.

L’altro lo schernì. «Sei sempre così emotivo… Ora, possiamo andare da qualche altra parte così ti calmi e parliamo, per favore?»

Lo sguardo di Arlo scivolò su Dimitri, il quale mosse la testa in un cenno negativo quasi impercettibile. Mai al mondo avrebbe permesso che Arlo se ne andasse con quel tipo, e non gliene fregava nulla se quello lo faceva sembrare un cavernicolo.

Così Arlo raddrizzò le spalle. «Sto lavorando. Inoltre, ti ho detto tutto quello che avevo da dire al telefono, ieri sera. Abbiamo chiuso. È finita. Non so quanto più chiaro possa essere senza dover coinvolgere la polizia.»

In un istante, la rabbia di Holden scomparve per essere sostituita da un sorrisetto calcolatore. «Mio padre è un fottuto giudice federale. Pensi che i poliziotti mi spaventino? Il capo della polizia è venuto alla festa del mio decimo compleanno. Stai solo prolungando l’inevitabile. Ottengo sempre quello che voglio.»

Arlo deglutì. «Ho detto no. E intendevo dire no.»

A quel punto Holden prese un respiro profondo e lo buttò fuori dal naso. «Non puoi semplicemente allontanarti da me. So dove vivi. So dove lavori. Che diavolo, so dove vive tua madre. Forse dovrei dirle che hai smesso di prendere i farmaci. Mi crederebbe, e lo sai. Mi adora, ricordi?»

Gli occhi di Arlo si riempirono di lacrime. «Stai lontano da mia madre. Stai lontano da me.»

L’altro inasprì lo sguardo. Arlo aveva mostrato debolezza, cosa che portava Holden a sentirsi in vantaggio. «Ti rimanderanno in manicomio. Ti rinchiuderanno e butteranno via la chiave. Diavolo, forse il tuo vecchio amico, Melvin, lavora ancora lì. Scommetto che gli mancano le vostre notti insieme.»

Arlo impallidì, il sudore che gli imperlava il labbro superiore e la fronte. «Smettila,» sussurrò.

Holden tuttavia si incaponì e avanzò fino a quando non piantò le mani sul bancone di legno. «Non rompermi i coglioni, puttanella. Ti rovinerò la vita.»

Dimitri si mosse senza pensare. Saltò oltre il bancone e afferrò Holden per i capelli, spingendogli poi il viso contro il piano di lavoro prima di puntargli un coltello da cucina sull’arteria carotidea. «Di’ un’altra cazzo di parola e io metterò fine alla tua. Decidi tu.»

Il respiro di Holden si fece affannoso, ma Dimitri sapeva che stava cercando di decidere se lui fosse serio o meno. Se davvero fosse pronto a ucciderlo nel bel mezzo della caffetteria di un campus. La risposta era sì. Sì, l’avrebbe fatto. Lo avrebbe ucciso e se ne sarebbe andato in prigione senza mai voltarsi indietro.

Tutta la voglia di combattere evaporò da Holden quando sembrò rendersi conto di non avere via d’uscita. Dimitri lo liberò, e l’altro barcollò all’indietro di un paio di passi. «Hai fatto un casino, bro. Hai fatto un casino enorme. Vi seppellisco tutti e due. Aspetta e vedrai. Manderò a puttane tutto il tuo mondo.»

Così dicendo, se ne andò. Dimitri saltò oltre il bancone una seconda volta, dopodiché strinse le guance di Arlo così da costringerlo a guardarlo. «Ehi. Ehi, va tutto bene.» L’altro aveva gli occhi spenti e annebbiati, come se si fosse bloccato da qualche parte nella propria mente. Lui gli accarezzò il viso con i pollici. «Ehi, ascoltami. Stai bene. Non lascerò che ti faccia più del male.»

Arlo fece un passo indietro, e lui lasciò cadere le mani.

Poi camminò verso la porta a doppio battente che conduceva al bagno dei dipendenti e, una volta lì, si girò per guardarlo da oltre le spalle. «Ha ragione, e lo sai. Sta per mandare a puttane tutto il mio mondo.»

No, col cazzo che l’avrebbe fatto.

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