NECESSARY EVILS #5
Folle
Folle
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Folle è il quinto libro della serie I Mali Necessari.
Please note: This listing is for the paperback edition.
MAIN TROPES
- Billionaire
- Boss/Intern
- Insta-Lust
- Touch Him and Die
- Secret Identity
- Blood-Play
SYNOPSIS
SYNOPSIS
Avi Mulvaney è molte cose. Figlio. Gemello. Proprietario del marchio di moda Gemini. Psicopatico omicida. Insieme, lui e suo fratello Asa formano un mostro brutalmente efficiente, liberando il mondo dai predatori che vittimizzano gli innocenti. La storia dimostra che Avi e Asa non funzionano bene separati, ma il loro padre ha deciso di testare questa teoria.
Felix Navarro sa esattamente chi è. È un fratello minore. È un seguace della moda. È un vigilante. Nonostante non sia felice che suo fratello maggiore abbia sposato un Mulvaney, quell’unione ha i suoi vantaggi. Come uno stage retribuito alla Gemini. Ma tutte le cose buone hanno un costo, e quello che deve pagare lui è sopportare Avi Mulvaney ogni giorno, cosa che lo porta inevitabilmente a pensare al suo capo ogni notte.
A Felix non piace Avi. È pieno di sé, accondiscendente, dispotico e inappropriato. È anche sexy, brillante e due volte più letale di quanto non sia lui stesso. Ciononostante, lo detesta. Anche se continua a lasciare che lo baci. E che lo tocchi. È scivolato solo una volta. Ma si è comunque trattato di sesso derivante dall’odio e non succederà mai più. Mai.
Solo che ad Avi è stato chiesto aiuto per fermare un pericoloso giro di criminali e ha ordinato a Felix di andare con lui. Felix, dal canto suo, ha giurato di rimanere forte. Di ricordarsi che lo odia. Ma quando restano intrappolati insieme in una stanza con un solo letto, è difficile continuare a provare il solito astio, soprattutto perché Avi, nel buio, continua a sussurrargli che lui gli appartiene.
Felix non appartiene a nessuno, ma Avi è determinato. E ha una settimana per dimostrargli che lui è l’eccezione alla sua regola. Dopotutto, chi dice di no a un Mulvaney?
Folle è un romanzo psicopatico torridamente sexy, intenso, enemies-to-lovers, con un lieto fine e senza cliffhanger. Troverete del dirty talk, un killer brutalmente feroce e un assassino dalla lingua tagliente e dall’amore sconfinato per la moda: insomma, due persone troppo testarde per il loro stesso bene. Come sempre, c’è della violenza gratuita, un umorismo molto cupo, abbastanza sangue da filmare la scena finale del film Carrie-Lo Sguardo di Satana, e sufficiente calore da sciogliere le mutandine. Questo è il quinto libro della serie I Mali Necessari. Ogni libro segue una coppia diversa.
LOOK INSIDE: CHAPTER ONE
LOOK INSIDE: CHAPTER ONE
Avi spense la lampada sulla scrivania e si portò le mani al viso. Asa gli aveva mandato un SMS dicendogli qualcosa sul fatto che il padre voleva incontrarli – incontrare solo loro – la sera successiva. Non era mai un buon segno. Si era scervellato, cercando di pensare a cosa potessero aver combinato per far incazzare il loro vecchio. Si erano occupati delle uccisioni a loro assegnate e avevano seguito le regole come sempre. Per quanto ne sapeva, nessuno era tornato a galla sul fiume, né era stato dissotterrato in un appezzamento di terra vuoto. Tuttavia era palese che Thomas avesse qualcosa in mente.
Asa gli aveva chiesto di vedersi al club, ma per lui quello era senza alcun dubbio un periodo di magra. Non aveva mai avuto difficoltà a trovare chi scoparsi. Era figo, ricco e aveva una copia carbone di se stesso sempre disposta a condividere. Ma negli ultimi mesi i suoi “titoli azionari” erano misteriosamente crollati. I ragazzi che una volta erano fin troppo interessati non se lo filavano più, e anzi lo guardavano in cagnesco, e alcuni avevano sparso in giro la voce decisamente crudele e – sperava – falsa sulla sua… prestanza. Qualcuno stava calunniando il suo nome, eppure fino a quel momento Avi non aveva trovato la fonte di quelle dicerie. Quando fosse riuscito a scovarla, però, aveva già pianificato di tappare quella metaforica falla e redimersi.
Scosse via quel pensiero, prese tutti i suoi disegni e andò a riporli in cassaforte prima di guadagnare l’uscita. Il palazzo era deserto tranne che per gli addetti alla sicurezza e alle pulizie. Tutte le luci sul soffitto erano spente, l’intero edificio era illuminato solo da quelle del generatore. L’ambiente, a quell’ora della sera, era sempre silenzioso in maniera quasi assordante. Perlomeno, avrebbe dovuto esserlo.
Sentì infatti qualcuno che inveiva a bassa voce, borbottando poi in una lingua che lui non parlava. Mandarino, forse, o cantonese. Felix. Perché Felix si trovava nel palazzo a quell’ora? La maggior parte degli stagisti se ne andava intorno alle otto, compresi quelli stipendiati. Eppure lui era lì, in azienda, a imprecare senza sosta mentre tirava il filo da una parte all’altra del tessuto.
Come sempre quando lo guardava, Avi si sentì mozzare il fiato e provò una strana sensazione allo stomaco. Quel ragazzo era… un enigma. Delicato, flessuoso, con i capelli nero inchiostro che gli finivano davanti agli occhi, castani e profondi, a meno che non li legasse allontanandoseli dai lineamenti affilati del viso. Proprio come in effetti li portava in quel momento. Era impertinente, arrabbiato e letale, con o senza un’arma.
Le linee guida dell’azienda affermavano che tutti i dipendenti dovessero indossare almeno un capo della Gemini, ma – come al solito – Felix aveva ignorato totalmente quella politica, optando invece per qualcosa che sembrava un kilt di pelle e una blusa in seta verde che faceva brillare la sua pelle bronzea. A differenza degli altri giorni, però, aveva coperto l’outfit con un brutto cardigan logoro. Avi se n’era accorto quella mattina, ma Felix si era dimostrato talmente di cattivo umore che aveva preferito non rivolgergli alcuna domanda. Il ragazzo era… permaloso.
Eppure c’era qualcosa che lo infastidiva. Di solito girava per la Gemini come se fosse il proprietario dell’azienda, invece che uno stagista, parlando con tutti – incluso Avi stesso – come se tutti rispondessero a lui. Avi aveva ricevuto un centinaio di lamentele riguardo al fatto che quel tipo non sapeva stare al proprio posto. Ma a dire la verità, a lui non importava nulla di quello che faceva. Avrebbe dovuto interessargli. Sarebbe stata la cosa giusta. La cosa più responsabile.
Avrebbe dovuto prenderlo da parte e rimproverarlo verbalmente, ma non sarebbe servito a nulla. Felix gli avrebbe semplicemente rivolto il suo solito sguardo – quello che gli dava l’impressione che fosse a conoscenza di un segreto che avrebbe potuto distruggerlo – e poi se ne sarebbe andato. Avi lo redarguiva solo quando sapeva che in quel modo avrebbe potuto irritarlo. Perché il Felix furioso era il suo Felix preferito.
Bussò piano sul vetro. Il ragazzo alzò la testa e gli scoccò un’occhiata fulminante per poi squadrarlo dall’alto in basso. La sua espressione di default era “arrogante”. Come se nella sua mente lui fosse il re e il resto del mondo fosse composto solo da campagnoli. Cazzo, Avi amava da morire quel lato di lui.
Una volta entrato si rese conto che Felix stava ancora cucendo delle paillettes sulla tuta elegante che avrebbero utilizzato durante il servizio fotografico del lunedì successivo. «Ci stai ancora lavorando su?»
Lo sguardo che ricevette in risposta lo portò a domandarsi se lo stagista fosse armato e se lui avrebbe visto arrivare l’attacco. «Tu hai mai dovuto cucire a mano mille paillettes sul culo di una jumpsuit prima d’ora?» ringhiò Felix.
Ci rifletté. «No. Ero un bambino quando le tute con le parole scritte sul culo andavano di moda.»
«Beh, è fottutamente difficile. Guarda le mie dita.» E così dicendo gli mostrò la mano ferita e gonfia.
Avi si leccò il labbro inferiore mentre osservava le sue dita lunghe, agili e impreziosite da unghie curate e dalla forma a punta. Erano perfette per lui. «Vuoi che le baci per far passare la bua?»
Felix replicò in tono irriverente: «Vuoi che ti pugnali sul viso con un paio di forbici da tessuto?»
Oh, il cazzo gli stava già diventando duro. «Smettila, mi stai eccitando.»
L’altro lasciò effettivamente perdere e tornò a cucire paillettes. «Sei proprio fuori di testa, cazzo,» mormorò.
Avi sorrise. «Colpevole.»
Ancora una volta, lo stagista appoggiò sul tavolo il tessuto. «Ho fatto qualcosa per farti incazzare? Più del solito, voglio dire?»
Lui si accigliò. «Mi hai mai visto incazzato? Soprattutto con te?»
Felix spinse in fuori il labbro inferiore in un broncio che non avrebbe dovuto essere eccitante, poi scrollò una sola delle sue spalle delicate. «No, ma non vedo nessun altro stagista qui a sgobbare.»
Riguardava la jumpsuit? «Sembrava che avessi bisogno di una distrazione.»
L’altro lo fissò annoiato. «E hai pensato che una tortura medievale mi avrebbe rallegrato?»
Avi aggrottò ancora di più le sopracciglia, perplesso, quindi gli si avvicinò. «Che cosa?! No. Stavo cercando di essere gentile.»
«Gentile!» scattò Felix. «Non potrò usare le mani per una settimana.»
A quelle parole lui gli scoccò il suo sorrisetto più sexy. «Peccato. Potrei pensare a tantissime cose da fare con quelle dita.»
Felix lo schiaffeggiò abbastanza forte da fargli girare la testa di lato, lasciandosi dietro una scia ardente. Quando lui si mise a ridere l’altro alzò di nuovo la mano, quella volta chiudendo il pugno. Ma a quel punto lui gli afferrò i polsi e glieli bloccò dietro la schiena. «Continua a schiaffeggiarmi così e penserò che ti piaccio.»
L’altro arrossì. «Vai a farti fottere.»
«Se lo facessi la tua giornata potrebbe essere migliore?»
Felix si liberò i polsi. «Sei terribile.»
Di solito Avi era contento di fare il cattivo ma, per qualche ragione, in quel momento non riusciva a lasciar perdere. «Sai quanti tirocinanti ho fatto incazzare assegnandoti questo lavoro?» Inclinò la testa per indicare col mento la tuta di paillettes.
Per una volta il ragazzo apparve confuso. «In che senso?»
Scosse la testa. «Il tuo nome è citato nei credits della rivista. Sono abbastanza sicuro che gli altri stiano tramando la tua morte anche mentre parliamo. Li sento in mensa. Ti odiano. Cioè, tutti ti odiano, in pratica… tranne me. Io penso che tu sia fantastico.»
Ebbe l’impressione che Felix stesse lasciando a quell’informazione la libertà di entrargli da un orecchio per poi uscirgli dall’altro. «Perché l’hai fatto?»
Avi era abbastanza vicino da sentire il calore del suo corpo e il suo respiro sulla pelle quando parlava. Sapeva di gomma da masticare alla menta. Dovette sforzarsi per concentrarsi sulla domanda. «Perché hai letteralmente detto: “Ho una brutta giornata. Ho bisogno di una distrazione”,» lo imitò, alzando addirittura la voce per giungere a una morbida e roca riproduzione di quella di Felix.
Il quale si pietrificò. «Come fai a sapere che l’ho detto?»
Lui fece spallucce. «Ti ho sentito mentre ne parlavi al telefono quando sei arrivato, oggi.»
«Hai origliato la mia chiamata?»
«Sì. E volevo fare qualcosa di carino per te,» ammise Avi, esasperato. Felix, invece, era spiazzato. «E comunque, perché è una brutta giornata?»
Con suo grande orrore, l’altro scoppiò in lacrime. Se le asciugò via, guardandolo ancora come se tutta quella situazione fosse dipesa da lui, eppure era sicuro almeno all’ottantasette percento che in quella precisa occasione non fosse così. «Non sto piangendo per te. Giusto perché tu lo sappia. Oggi è il mio compleanno.»
Avi sbatté le palpebre. «Oh,» borbottò, come se avesse perfettamente senso.
«È il mio compleanno. Ed è un traguardo grande. Importante. Compio ventun anni. Ma i miei genitori non sono qui. Mio padre è morto. Mia madre è… sai, in una casa di riposo. Era solita prepararmi questo dolce che… Aahh, lascia perdere.» Si portò il maglione al naso e si asciugò le lacrime con la manica.
E allora Avi capì. Quel brutto maglione apparteneva alla madre. «Non… non lo sapevo.»
Felix tirò su col naso. «Perché avresti dovuto? Volevo solo… volevo un giorno in cui non fossi costretto a pensare a roba triste.»
«Perché non mi hai detto niente?» gli chiese.
«A che scopo? Cosa avresti fatto?» ribatté l’altro.
Avi balzò in avanti e schiantò la propria bocca sulla sua, morbida ma inflessibile, senza approfondire il bacio, ma restando pur sempre sulle sue labbra. Felix lo spinse via per poi schiaffeggiarlo di nuovo con forza. Prima che lui potesse pensare di reagire, però, l’altro lo afferrò per la felpa e lo attirò a sé, fondendo insieme le loro labbra in un bacio che divenne velocemente appassionato. Avi lo strinse senza nemmeno pensarci, e Felix gli avvolse gambe e braccia attorno al busto come un koala.
Allora lo tirò su, lo appoggiò sul tavolo e prese a strusciarsi contro di lui; gemette quando capì che anche Felix ce l’aveva duro. «Cosa stiamo facendo?» gli chiese a fior di labbra.
«Scopami,» ansimò l’altro senza mai interrompere il bacio.
Avi rimase di sasso. «Come, scusa?»
«Sco. Pa. Mi,» ripeté Felix, sottolineando ogni sillaba con un bacio lascivo. «È il mio compleanno.»
Il cazzo di Avi pulsava dietro la cerniera. Era impossibile che dicesse di no. Non riusciva a tenere giù le mani. Anzi, quel kilt… o la gonna, o quello che era insomma, gli permetteva di frugare e vagare su quella pelle morbida come un petalo, finché non arrivò a un uccello duro coperto da un paio di mutandine di pizzo. Cazzo. Si sentiva un dannato adolescente. «Non ho né lubrificante né preservativi.»
«Sei un fottuto serial killer. Improvvisa,» pretese Felix contro le sue labbra.
Porca puttana, era autoritario in ogni aspetto della sua vita. Avi si guardò intorno e afferrò la bottiglia sul bancone. Olio di cocco. Lo usavano per lubrificare le macchine da cucire. Strattonò Felix per farlo scendere dal tavolo, lo fece girare e poi piegare sul piano di lavoro; dopodiché si mise in ginocchio per trascinargli quelle mutandine traforate fino a metà coscia e mordere delicatamente qualsiasi porzione di pelle trovasse sul proprio cammino: era desideroso di prendersi il suo tempo e assaggiare ogni parte di lui.
«Non ho bisogno dei preliminari. Ti voglio dentro di me. Ora.»
Cristo.
Avi arrotolò verso l’alto la gonna di pelle, prendendosi un momento per apprezzare l’immagine oscenamente sexy che aveva davanti, poi tolse di mezzo i propri vestiti e afferrò l’olio di cocco; se ne spruzzò un po’ sulle dita e con esse tracciò il solco tra le natiche di Felix, ma trattenne un gemito quando si spinse con un dito in quel teso anello di muscoli. Cazzo!
Il ragazzo emise una specie di mugolio strozzato, e a quel punto lui dovette ricordarsi che non poteva venire prima ancora di averlo penetrato. Ma Felix aveva un culo così fottutamente stretto… Dopo un minuto si insinuò in lui con un secondo dito per poi spingere entrambe dentro e fuori come meglio poteva.
Felix però si voltò per rivolgergli un’occhiata incazzata. «Sbrigati. Ho bisogno di sentirti dentro.»
Avi sorrise, scuotendo la testa. «Prepotente,» mormorò, ma subito dopo si ricoprì l’uccello di olio e gli premette la punta contro l’ingresso; esitò solo per un momento. Poi affondò in avanti e gemette all’unisono con Felix. Il suo culo era stretto in maniera quasi dolorosa. Gli ci vollero tre tentativi per addentrarsi davvero nel suo corpo. «Cazzo, rilassati,» provò a persuaderlo, le mani strette sulla sua vita. «Fammi entrare.»
Il ragazzo si lamentò, ma si interruppe subito l’attimo dopo. E ben presto Avi riuscì a muoversi in quel culo con facilità, anche se doveva comunque procedere con cautela. Stava diventando rapidamente dipendente dalla morsa che quei muscoli rappresentavano mentre si contraevano intorno al suo uccello a ogni affondo.
Felix inarcò la schiena. «Cazzo. Sì. Così. Ma più forte.»
Fu allora che Avi si rese conto che il ragazzo si stava masturbando sotto il tavolo. «Dio, sei fottutamente perfetto.»
«Lo so,» ansimò Felix. «Tirami i capelli.» E lui obbedì, togliendogli l’elastico per poi insinuare le dita in quelle ciocche setose e tirarle all’indietro; gli strinse il fianco in modo che potesse martellarlo. «Oh, cazzo. Sì. Sì. Continua. Non fermarti, cazzo. Ci sono quasi. Ancora un po’ di più.»
Avi non era mai stato guidato durante l’amplesso prima, ma trovava d’aiuto sapere che Felix c’era vicino. Non era sicuro di quanto a lungo potesse ancora resistere. Quando gli baciò il collo esile, l’altro lo cacciò via. «Non ho bisogno di niente di tutto ciò.»
A quel punto però lui lo sculacciò, guadagnandosi un guaito. «Beh, io sì. Quindi comportati bene.»
Proprio in quell’istante Felix gridò e Avi sentì il suo culo contrarsi intorno a lui. Oh, allora era vero che c’era vicino, quando glielo aveva detto. Era stato lo schiaffo a mandarlo oltre il limite? Cazzo. Quello sì che era abbastanza per lui: tutto il suo corpo tremò di piacere mentre veniva. Avrebbe dovuto tirarsi indietro, ma non lo fece. Non poteva. Stava già riversando tutto il proprio carico dentro Felix, pompando i fianchi, restio a lasciare il calore avvolgente di un corpo sul quale aveva fantasticato ore infinite.
Quando il suo uccello perse turgore lo tirò fuori. E prima che potesse dire qualsiasi cosa, Felix si stava già riaggiustando i vestiti, poi tolse le pieghe alla blusa verde e strinse a sé il maglione. «Devo finire qua,» disse, e tornò al proprio posto congedando Avi come fosse stato una puttana da due soldi.
Lui rimase lì a fissarlo per un po’. «Posso chiedere a qualcuno di finire domattina, o puoi continuare a farlo tu, ma in un paio di giorni. C’è tempo.»
L’altro scosse la testa, e i capelli gli caddero sul viso. «No, va bene così. Se ci sarà il mio nome sopra, allora devo essere io a finirlo.»
«O-okay,» acconsentì lui ancora esitante. «Dovremmo…»
«Puoi andare,» dichiarò Felix, il tono acuto.
«Sai che sono io il capo, vero?» gli domandò Avi, divertito.
L’altro lanciò il proprio sguardo impertinente verso di lui e i suoi pantaloni ancora aperti. «Sai che dirlo mentre hai il cazzo di fuori e davanti alle telecamere che hai installato in questa stanza potrebbe essere interpretato come molestia sessuale, vero?»
Avi sogghignò. «Finché non torno indietro al punto in cui mi hai chiesto di scoparti come se fossi la tua concubina. Mi sento… usato.»
Ancora una volta scorse… qualcosa nell’espressione di Felix, qualcosa che tuttavia svanì subito per lasciare il posto a una delle sue classiche alzate d’occhi al cielo. «Vai a casa.»
Avi non voleva, però. Non da solo, comunque. Ma non aveva motivo di restare. «Forse dovrei fermarmi e assicurarmi che tu torni a casa sano e salvo.»
Il ragazzo gli piantò di nuovo lo sguardo addosso. «Ho una pistola nella tracolla e un coltello nello stivale. Credimi, rincaserò tranquillo.»
Era davvero perfetto. «D’accordo. Ci vediamo domattina, allora.»
«Ciao,» lo salutò l’altro, congedandolo senza nemmeno un cenno della mano.
Dannazione. Era un selvaggio.
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