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I MALI NECESSARI #4

Svitato

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Psicopatico è il quarto libro della serie I Mali Necessari.

Please note: This listing is for the Italian e-book edition.


MAIN TROPES

  • Primal Play
  • Psychopath
  • Insta-Lust
  • Touch Him and Die
  • Billionaire
  • Secret Identity

SYNOPSIS

Asa Mulvaney è la metà di un intero psicopatico. Lui e il suo fratello gemello vivono insieme, fanno festa insieme… ammazzano insieme. Del resto per i Mulvaney l’omicidio è l’attività di famiglia, e gli affari vanno bene. Così, quando un esperimento separa i gemelli, Asa è costretto a farsi strada nel mondo da solo per la prima volta nella sua vita.

Zane Scott è un blogger da quattro soldi che si occupa di criminalità, ma che sogna una firma su una testata importante, e i suoi sospetti riguardanti Thomas Mulvaney stanno per rendere quel sogno una realtà. Tuttavia, quando viene invitato a una noiosa raccolta fondi e quello che si trova davanti non è il miliardario che sta seguendo come aveva sperato, bensì Asa Mulvaney, Zane si ritrova intrappolato in una gabbia da lui stesso creata, perché a quella festa non può fare a meno di condividere con il gemello un incontro intenso e appassionato.

Nel frattempo, in un college vicino, c’è un focolaio di suicidi, ma la situazione è ben diversa da quella che sembra. E quando suo padre gli chiede di indagare, Asa vede l’opportunità perfetta per sfruttare il suo piccolo giornalista e rimetterlo in riga. D’altronde ha bisogno che questo accada. Zane è sospettoso circa le sue motivazioni, ma anche mezzo convinto che morirà in ogni caso, eppure non ha alcuna intenzione di dire di no alla possibilità di sbirciare dietro le tende della famiglia Mulvaney.

Così i due portano alla luce una storia alquanto sinistra, ma al contempo l’ossessione di Asa per Zane cresce, e Zane scopre che essere l’unico focus di Asa è più importante quasi di tutto, forse persino della sua carriera – il che è un bene per Asa, perché amare un Mulvaney è un lavoro a tempo pieno. Riuscirà a convincere Zane che vale la pena entrare a far parte di una famiglia di psicopatici e a tollerare un gemello così vicino da risultare fin troppo fastidioso? O Zane imparerà nel modo peggiore che i ragazzi Mulvaney ottengono sempre quello che vogliono? Perché è così: lo ottengono sempre.

Svitato è una storia d’amore psicopatica intensa ed eccessivamente sensuale, in cui i protagonisti passano da amanti a nemici/amici; ha un lieto fine e nessun cliffhanger. Incontreremo uno psicopatico maniacale e calcolatore, e un aspirante reporter che non si fermerà davanti a nulla pur di accaparrarsi la possibilità di approdare in qualche testata importante. Come sempre, c’è violenza gratuita, umorismo molto oscuro, abbastanza assassini da riempire un auditorium e sufficiente ardore da sciogliere il vostro Kindle. Questo è il quarto libro della serie I Mali Necessari. Ogni libro segue una coppia diversa.

LOOK INSIDE: CHAPTER ONE

«Sei in ufficio? Perché c’è tutto questo silenzio?»

Sospirò, pizzicandosi il naso. Zane Scott non aveva un ufficio. Non aveva nemmeno un cubicolo. Perché non aveva un lavoro. Non uno vero, comunque. Ma sua madre non lo sapeva. «No, ma’. Oggi lavoro da casa.»

Come ogni altro giorno.

«Ti daranno qualche storia emozionante? Ho detto a tutte le signore nel mio club di bridge che mio figlio è un reporter. Non vedono l’ora di leggere la tua prima storia.»

Anche lui. Doveva solo inventarsene una. «Mamma, per favore, smettila di parlare alla gente del mio lavoro. Essere un giornalista investigativo richiede un sacco di ricerca. Ci vorrà un po’ per vedere la mia prima storia importante sui giornali.»

Sua madre tirò su col naso. Poi le sentì bere un grande sorso di qualcosa. Gin, senza dubbio. Era mezzogiorno, dopotutto. «Mi è permesso vantarmi di mio figlio. Non eravamo neanche sicuri che avresti mai ottenuto qualcosa nella vita. I tuoi voti erano scadenti. Saltavi la scuola. E a differenza di tuo fratello, che praticava vari sport, faceva parte della squadra di dibattito e aveva una media del 9, tu… Pensavamo che avremmo dovuto aiutarti economicamente per sempre.»

Zane lo sapeva.  E anche tutti quelli che conoscevano sua madre lo sapevano. D’altra parte, quella non era una conversazione nuova.

«Grazie, ma’,» le disse alzando gli occhi al cielo.

Lei fece un rumore disgustato. «Uno scrittore. Aahh. Tanto valeva facessi l’istruttore di fitness. Almeno loro hanno la possibilità di lavorare con le celebrità.»

Zane lavorava con le celebrità. Ma non in un modo di cui sua madre avrebbe voluto vantarsi.

«Sì, ma’. Lo so,» replicò, intuendo già la piega che avrebbe preso la conversazione; il problema era che non sapeva come mettervi un freno prima che quel treno deragliasse.

«Non dirmi “lo so” con quel tono,» lo rimproverò lei. «Quando abbiamo perso tuo fratello pensavamo di aver detto addio a ogni possibilità…»

A prescindere da quanto Zane cercasse di prepararsi a quel momento delle loro conversazioni, non faceva mai meno male. Suo fratello, Gage, era stato l’erede, e lui senza alcun dubbio il figlio di riserva. Quello che i genitori avevano nascosto nell’armadio e ignorato presumendo che l’originale sarebbe stato troppo fottutamente perfetto per morire. Era evidente che Gage gliel’avesse fatta vedere. A tutti loro.

Zane fissò la foto di una star del cinema che sgattaiolava fuori dall’appartamento di un cantante famoso, quindi guardò l’orologio. «Sì, lo so, ma’. Sto solo dicendo che sono immerso nelle ricerche e questo per me è orario di lavoro. Ci sentiamo questo fine settimana così parlerò anche con papà, okay?»

«Okay, bambolotto. Ma non chiamarmi venerdì. Ceniamo dai Silver. E domenica al Country Club. Sai una cosa? Ti chiamo io. D’accordo?»

Sospirò, provando a non farsi sentire. «Sì, certo, ma’. Ti voglio bene.»

Sua madre gli mandò dei baci nel telefono. «A presto.»

Non sapeva perché le dicesse “ti voglio bene” ogni volta che terminavano una chiamata. Lei non glielo aveva mai detto, nemmeno una volta. Né quando aveva cinque anni, né quando ne aveva undici, né quando ne aveva ventuno – in piedi accanto alla bara di suo fratello. E nemmeno quel giorno.

La fredda e dura verità era che i suoi genitori non gli volevano bene. Lui e Gage erano sempre stati degli accessori per loro. Solo che Gage era stato quello di marca e lui l’imitazione a buon mercato. Per quello mentiva a sua madre sul suo eccitante lavoro da giornalista investigativo. Scrivere articoli al limite del diffamatorio per i tabloid e avere un blog che parlava delle vere storie del crimine non era ciò di cui sua madre avrebbe potuto vantarsi durante il brunch.

Allontanò quel pensiero, rifiutandosi di concedere a quella donna altro spazio nella propria testa. Scrollatelo di dosso, Scott. Quello che faceva non era bello, ma almeno gli permetteva di pagare le bollette. Proprio mentre apriva il laptop, la porta si spalancò e Blake cadde nella stanza come se il vento lo avesse spinto via lontano dalla strada. Solo che Blake era quel vento. Un grosso tornado barbuto con la pelle color rame e i capelli nero inchiostro un tantino troppo lunghi.

«Ce ne hai messo di tempo,» brontolò lui.

L’altro lo guardò accigliato. «Sai com’è la coda da McKabe a quest’ora. E comunque, lo vuoi subito o lo vuoi fatto bene?»

Zane sospirò. Non sapeva perché stesse sfogando la frustrazione derivante dalla conversazione con sua madre su quel ragazzo. Era praticamente l’unico amico che aveva.

Quando si rese conto che non gli avrebbe risposto, Blake aggrottò le sopracciglia. «Cosa ti è successo? Perché all’improvviso sei così scontroso?» Poi indicò la parete davanti a loro. «Pensavo volessi spiegarmi tutto questo.»

«Mangiamo,» borbottò lui per poi scartare il suo panino al tonno e prenderne un morso; chiuse gli occhi e si godette un piccolo pezzetto di pace.

Blake fece un verso alla ah-ah. «Merda. Ha chiamato tua madre, eh?» Zane lo fissò con sospetto. «Sì, è sicuro che ha chiamato. Solo Bev può farti venire la faccia di chi ha appena visto il proprio gatto sbranato da un orso.»

Fece una smorfia. «Mamma mia, che immagine raccapricciante!»

L’amico lo derise. «Sei tu lo scrittore. Io faccio solo le foto. Perché rispondi ancora alle sue chiamate? Potresti semplicemente smettere di farlo. Diamine, io ho tagliato i ponti con mia madre anni fa. È la migliore decisione che abbia mai preso. È stato doloroso, ma è come la cancrena. A volte devi tagliare l’arto infetto prima che quella merda si diffonda. E Bev… si sta diffondendo.»

Zane contorse le labbra in un minimo accenno di sorriso. Sua madre era davvero simile a un nugolo di batteri mortali. Ma era comunque quella che l’aveva messo al mondo. «La donna di cui ti sei disfatto tu è una criminale recidiva che se la fa con una delle bande di motociclisti più violente tra le terre degli Stati Uniti.»

Blake si sedette sulla sedia girevole davanti alla sua scrivania, volteggiando con essa un paio di volte prima di scartare il proprio panino al pastrami. «E la tua è una narcisista tracanna-gin che passa le giornate a succhiare via le speranze e i sogni delle persone come un dissennatore. L’unica differenza nelle nostre mamme, amico mio, è il capitale. Una è ricca, l’altra è povera. Ma sono entrambe persone di merda.»

Blake aveva ragione. Aveva ragione al cento percento. Però Zane non avrebbe comunque tagliato fuori la sua famiglia. Non sapeva se quello lo rendesse masochista o debole. La madre avrebbe detto la seconda.

Sospirò e voltò lo sguardo verso il muro coperto di corde e spilli multicolore. Al centro aveva fissato una mappa della città, evidenziando alcune aree con del giallo fosforescente. Le proprietà di Thomas Mulvaney. La foto del proprietario era appuntata nella parte alta del grafico. 

Aveva riservato i lati della cartina ai personaggi chiave nella vita di Mulvaney, a partire dai suoi sette figli.

«Spiegami tutto questo,» tornò a chiedergli Blake con la bocca piena.

Zane finì il proprio sandwich al tonno in quattro grandi morsi, poi indicò l’uomo dai capelli striati d’argento con addosso un costoso vestito blu navy. «Conosci Thomas Mulvaney, vero?»

«Tutti lo conoscono,» asserì l’amico, masticando disgustosamente.

«Questi sono i suoi figli.» Li indicò uno per uno. «Il professore, il dottore, l’architetto, lo stilista, il giocatore d’azzardo, il modello… e ultimo, ma non meno importante, il solitario.»

Blake emise una risata nasale. «Sì, amico. Fotografo celebrità per vivere. Parlami di chi non conosco.»

Zane indicò una foto fissata accanto al più giovane dei Mulvaney, il modello. Adam. «Il bel lentigginoso che dà tutta l’impressione di essere uno tagliato per vendere prodotti per la cura della pelle… Lui è fidanzato con il modello. Si chiama Noah. Noah Holt. Il nome ti suona familiare?»

L’amico scosse la testa. «Dovrebbe?»

«Figlio di Wayne Holt. Era un sospetto molestatore di bambini e un assassino. È deceduto in circostanze misteriose.»

«Che cazzo di liberazione,» borbottò il fotografo.

Zane concordava. Ma era solo un piccolo pezzo del puzzle. Indicò un altro uomo con un cappotto di tweed. «Quello lì. Quello è Lucas Blackwell, un ex profiler dell’FBI che ha avuto un esaurimento nervoso.»

«Beh, è un lavoro stressante,» rifletté l’amico. «Io non vorrei dovermi occupare di tutte quelle cose.»

Zane prese la palla da baseball dalla sua scrivania e la lanciò in aria. «Ha detto ai suoi superiori che risolveva i casi attraverso i suoi poteri psichici, poi ha indicato un altro agente dell’FBI come il colpevole in una dozzina di casi di rapimento.»

Blake scoppiò a ridere. «Merda. L’hanno mandato al manicomio?»

Annuì. «Si è fatto trenta giorni rinchiuso in psichiatria. Poi lo hanno mandato a insegnare in un piccolo college dove ha incontrato il professore geniale: si sono innamorati, si sono sposati e hanno avuto due bambine.»

«Quindi stanno vivendo il sogno americano. Cosa mi sfugge?» chiese Blake.

«Hai presente l’ex collega di lui, quello che ha accusato di aver rapito e ucciso una dozzina di donne? Beh, anche quello è scomparso in circostanze misteriose.»

Blake gli puntò lo sguardo addosso e si sedette dritto. Sì, ecco che Zane aveva catturato la sua attenzione. «Okay, lo ammetto, è un po’ strano.»

Annuì, indicando il tipo dai capelli rossi. «E poi c’è questo qui, il dottore. Ecco, lui è suo marito. È un meccanico.»

Blake guardò l’immagine dell’uomo dai capelli scuri, scrollando le spalle. «E…? La tua grande rivelazione è che il dottore ha sposato un operaio? Ad alcuni piace che un uomo sappia usare le mani. Cavolo, se trovassi una donna che sa distinguere un carburatore dalla batteria di un’auto probabilmente la sposerei.»

Zane alzò gli occhi al cielo. «Questa non è la parte sospetta. Possiede l’officina in fondo alla strada. Quella in cui ci sono una dozzina di ragazzi che entrano ed escono a tutte le ore della notte.»

Blake scosse la testa. «E allora? Cosa stai cercando di dirmi, Zane?»

Continuò a lanciare la palla in aria. «Non lo so. Forse il dottore è un fornitore di droga e i ragazzi sono i suoi spacciatori? Forse è un’officina di riciclaggio auto…»

«Perché il figlio di un miliardario dovrebbe impelagarsi con la droga o rivendersi i pezzi delle macchine? Diavolo, perché un medico dovrebbe farlo? Penso che tu stia vedendo roba che non c’è. Tua madre ti fa inseguire i fantasmi, amico mio.»

Zane scosse la testa. «Okay, ascolta questo, allora. La sorella del meccanico è scomparsa dieci anni fa, poi è stata ritrovata morta nel fiume, senza un rene. Non è stata data nessuna spiegazione. Non hanno nemmeno indagato.»

Blake aggrottò le sopracciglia, fissando la foto dell’uomo in questione. «Viviamo in un quartiere di merda, amico. La gente finisce sempre nel fiume. E non per girare il dito nella piaga, ma lei non è bianca. Sappiamo bene che solo le ricche signore bianche hanno tutta l’attenzione.»

Anche lui ci aveva pensato. «Okay, ma non pensi sia strano che tre dei figli di Thomas Mulvaney siano finiti con uomini che hanno perso qualcuno che conoscevano in circostanze losche?» chiese.

Blake scosse la testa, passandosi la mano sulla nuca mentre fissava la lavagna. «Non proprio. No. Mia zia Carol aveva un marito che si è sbizzarrito a picchiarla a morte con un tostapane. E Christabel, quella della contabilità – qualcuno ha ucciso suo cugino con un machete ad Haiti. Il padre di Beach è stato ucciso in un negozio di liquori. Viviamo in un mondo violento. L’unica differenza tra noi e Thomas Mulvaney è che a nessuno frega un cazzo delle nostre vite.»

«Dammi retta, c’è qualcosa di sospetto in quella cazzo di famiglia.» Zane saltò in piedi. «Vedi gli spilli rossi? Sono cadaveri trovati in zona negli ultimi due anni. Guarda quanti ne hanno trovati nelle proprietà di Thomas Mulvaney.»

Blake gli sorrise come se avesse detto qualcosa di comico. «Quel tipo possiede la maggior parte della città, bello. Sarebbe più difficile far cadere un corpo su un pezzo di terra che non è di sua proprietà.»

Lui scosse la testa, la frustrazione che gli bruciava dentro. L’amico aveva ragione, ma c’era sotto qualcosa. Il suo istinto non sbagliava mai. «Devo continuare a scavare. Devo avvicinarmi.»

Blake lo guardò di traverso. «No, devi smetterla di fare il Truman Capote della situazione e scrivere l’annuncio per la foto che ho fatto, o non potrai permetterti l’affitto di questo orribile motel per scarafaggi che chiami casa. Vuoi chiedere soldi a Bev perché hai perso un altro lavoro?»

Zane non aveva perso il lavoro. Lo aveva lasciato. Del resto scrivere articoli per i tabloid non era un lavoro. Era un piano di riserva. Se voleva che il mondo lo prendesse sul serio come giornalista, doveva raccontare una storia enorme. Una storia così grande che nemmeno sua madre sarebbe riuscita a trovare un motivo per negare il suo successo.

«Non vuoi essere qualcosa di più che un semplice paparazzo?» gli chiese Zane.

Blake lo derise. «Faccio un sacco di soldi scattando foto alle celebrità. Abbastanza da permettermi l’attrezzatura fotografica che mi dà modo di scattare le foto che voglio fare davvero. Quelle che un giorno mi faranno vincere dei premi.»

Blake era un bravo ragazzo. Era intelligente, talentuoso, divertente. Ma non aveva l’istinto per quelle cose. «C’è sotto qualcosa. So che c’è. Credere che esista un miliardario altruista è come credere nella fatina dei denti o in Babbo Natale. Non esistono.»

«È un po’ classista, no?» replicò l’altro.

Zane spinse la mascella in avanti. «No, se ho ragione.»

Blake accartocciò l’involucro del panino. «Okay, diciamo che Thomas Mulvaney è il diavolo. È un… cosa… un genio del crimine di alto rango? E tu che cosa farai a tal proposito? Pensi che se fosse così avresti la possibilità di vivere abbastanza a lungo persino per scrivere l’articolo? Scommetto che una volta quel tizio aveva pure il numero di Obama tra le chiamate rapide.»

Zane indicò un gruppo di spilli rossi. «Ho deciso. Devo scriverlo. Per loro.»

Blake aggrottò le sopracciglia. «Loro?»

Annuì. «Questi uomini sono stati tutti uccisi in un incendio in una delle proprietà di Mulvaney.»

«E quindi?» gli chiese il fotografo.

«Si trattava di un membro del Congresso, un prete, un insegnante e un ufficiale di polizia. Persone influenti. Persone che avevano famiglie che ora sentono la loro mancanza.»

«Questa non è una storia. Questo è l’inizio di una brutta barzelletta. La storia di quegli uomini è stata raccontata. Erano pedofili. Molestatori seriali. Nessuno ne sente la mancanza. Nemmeno le loro famiglie. Se venisse fuori che Thomas Mulvaney li ha uccisi, la città probabilmente gli organizzerebbe una dannata parata.»

Zane scosse la testa. «Devo solo avvicinarmi.»

«Avvicinarti a cosa?» chiese Blake, esasperato.

«A Thomas Mulvaney.»

Arrivare a quell’uomo era la chiave per decifrare quella storia, qualsiasi fosse. Aveva bisogno di indizi. Aveva bisogno di una pista da seguire. Sospettare che qualcuno fosse un genio del crimine e provarlo non erano proprio la stessa cosa. Per sconfiggere il suo clan gli sarebbero servite prove schiaccianti, e per ottenerle Zane aveva la necessità di entrare nella cerchia ristretta di Thomas Mulvaney.

Se fosse riuscito a incontrarlo, convincerlo che anche lui teneva alle stesse cause, forse quello gli avrebbe dato modo di sbirciare dietro le quinte della famiglia Mulvaney. Ma lui non aveva niente in comune con quel riccone. Era nato in una famiglia della classe media, e solo attraverso il duro lavoro e la perseveranza di suo padre era salito a quella medio-alta. Mulvaney probabilmente spendeva per un fermacravatta l’importo che lui doveva al proprietario di casa per l’affitto.

«Se dovessi arrivare a lui, come faresti?» chiese Zane all’amico.

Nessuno meglio di Blake sapeva come raggiungere chi non voleva essere beccato. Una volta lo aveva visto appeso a testa in giù da un albero per scattare una foto a una celebrità.

Il fotografo sospirò, tirando fuori il cellulare. «Non riuscirai mai a superare la porta d’ingresso. Diavolo, non riuscirai ad attraversare la porta sul retro. Il massimo che puoi sperare è di scivolare attraverso la finestra di un seminterrato, sempre metaforicamente parlando.»

«Quale sarebbe la finestra del seminterrato di Thomas Mulvaney?» gli chiese allora.

Blake fece spallucce. «Guarda i suoi social media. Quell’uomo passa la vita a frequentare serate di gala per stronzate come salvare gli alpaca. Scatta foto con bambini con il cancro dalla testa calva. Se vuoi arrivare a lui, è così che devi fare.»

«Ti prego, dimmi che non mi stai dicendo che devo imbucarmi a una raccolta fondi per bambini malati di cancro.» Zane aveva dei princìpi.

Blake girò il telefono verso di lui. «Che ne dici di una cena di premiazione della stampa? A quanto pare stasera riceverà una specie di premio.»

«Come fai a saperlo?» gli chiese.

L’altro alzò gli occhi al cielo. «Si chiama Internet, Zane. Abbiamo tutti accesso a Internet, ormai; lo sai, vero?»

Lui borbottò tra sé: «Come faccio a intrufolarmi a una cena di premiazione? Non credo di potermi semplicemente presentare lì.»

Blake scosse la testa. «Tutti quei grandi eventi ormai richiedono un QR code. Devi scansionare il telefono alla porta.» Si alzò in piedi. «Grazie per il pranzo, ma devo andare. E a Beach serve quell’annuncio tra un’ora.»

Beach. Ecco di cosa aveva bisogno. Era la loro editor, ma la foto di quella donna si trovava accanto alla definizione stessa della parola “inflessibile”. Zane tirò fuori il telefono e scorse i contatti fino ad arrivare al suo nome, premendo invio proprio nel momento in cui la porta si chiudeva dietro Blake.

Lei rispose al terzo squillo. «Hai il testo dell’annuncio?»

Probabilmente avrebbe dovuto chiamarla dopo aver finito di scriverlo. «Non ancora. Ho bisogno di un favore.»

Lo derise. «Niente annuncio, niente favore.»

«È un favore piccolo piccolo. Piccolissimo.»

Beach sospirò. «Che ti serve?»

«Devo solo andare alla cena di premiazione della stampa, stasera.»

«Ma sei fuori di testa?»

«Posso farti avere l’annuncio in venti minuti,» barattò. «Per favore? Potrebbe rivelarsi una storia enorme.»

«Zane, sono una quarantenne che passa le giornate a giocare a Troviamo un accordo con ogni assistente alle pubbliche relazioni della città, e questo per mantenere i loro clienti famosi vicini o lontani dai riflettori, a seconda di cosa ci avvantaggi di più finanziariamente. Le uniche storie che mi interessano sono quelle volgari. Quindi, a meno che non mi porti una storia in cui trovi Barbara Walters che fa una sega a Matt Lauer sotto il tavolo, a quella cena, non ti aiuterò.»

Il labbro di Zane si arricciò al quadro fin troppo vivido che la donna aveva dipinto. «Thomas Mulvaney potrebbe costituire una notizia molto succosa… se solo mi aiutassi a trovare qualcosa.»

Beach gemette. «Sei ancora fissato con questa storia? Lascia stare. A nessuno importa dei miliardari corrotti.»

«Per favore, Beach. Per favore. Non devi fare niente, scambierò un paio di biglietti da visita quando arrivo lì.»

Lei lo punzecchiò: «Non sei nemmeno stato invitato. Non puoi scambiare alcun biglietto da visita se il tuo non esiste.»

«È una premiazione per la stampa. A nessuno fregherà un cazzo se mi imbuco alla loro festicciola. Sicuramente qualcuno del giornale è stato invitato. Tecnicamente siamo la stampa, giusto? Piazzami come assistente. Sarò chi vuoi che io sia. Per favore!»

«Sai una cosa? D’accordo. Ma farai meglio a trovare una storia così succosa da restare appiccicoso per una settimana.»

«Grazie. Grazie. Grazie. Non ti deluderò.»

«L’ho sentito da quasi ogni uomo della mia vita, ma non è mai stato vero,» mormorò lei in risposta.

Zane sentì lo scatto di un accendino, poi Beach inspirò. «Pensavo che avessi smesso di fumare.»

«Chi sei? Mia madre? Fatti gli affari tuoi, ficcanaso.»

«Mi importa della tua salute.»

«Manda questa cosa a puttane e sarà la tua salute a stare in bilico. E, Zane?»

«Sì?»

«Ascoltami attentamente perché dico sul serio. Giuro su tutti gli dèi e i santi che se ti beccano a pedinare Thomas Mulvaney farò finta di non sapere chi cazzo sei. Sorriderò e ti saluterò mentre ti portano via in manette.»

Lui ridacchiò. «Manette? Per essermi imbucato a una cena con la stampa? Chissà come, ne dubito fortemente.»

Beach emise un verso alla vedremo. «Hai qualcosa da indossare che non ti faccia sembrare un cameriere?»

No. No, non ce l’aveva. Non era nemmeno sicuro di possedere una cravatta che non avesse una macchia. «Certo che sei proprio cattiva!»

Lei sogghignò. «Dai, su, mettiti a piangere.»

Zane sorrise. «Mandami un messaggio in cui mi dici chi devo interpretare stasera.»

«Sì, sì,» borbottò lei.

«Grazie. Sei la migliore,» le disse dolcemente.

«Leccaculo,» replicò Beach, il tono altrettanto zuccherino.

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